sabato 16 giugno 2012

Di speranze, clausure forzate e romanticismo

Rieccomi. Di corsa, anche questa volta, e con un senso di colpa molesto per il tempo rubato al lavoro, ché oggi sono sola a casa, il marito è in trasferta, la creatura dai nonni, e io devo "produrre" a ritmi serrati.
Però questo angolino mi manca davvero tanto, così come mi manca la lettura dei blog amici; ho cercato di recuperare, ma ci sono riuscita solo in parte.
Qui la terra non trema più, o meglio, trema meno intensamente e frequentemente, e dalle mie parti non si avvertono più le scosse. Persone a me molto vicine hanno vissuto momenti drammatici e perso tanto, tantissimo, ma stanno ripartendo con una forza incredibile. Sono con loro.
Tra poco più di due settimane devo consegnare il "lavoro della mia vita", quello che potrebbe finalmente aprirmi portoni che sembravano chiusi a doppia mandata. L'adrenalina è a mille, la paura di sbagliare anche, e le speranze per il futuro... io cerco di non alimentarle troppo, ma è dura non lasciarsi andare a fantasticherie. Vi saprò dire...
La sera, quando il marito è in viaggio e non ho più la forza di accendere il PC ma sono troppo agitata per andare a letto, mi dedico alla visione dei miei bei drammoni BBC in costume. Ormai è una droga... E Amazon è il mio pusher. La scorsa settimana ho scoperto North & South, tratto dall'omonimo romanzo di Elizabeth Gaskell, che non avevo mai neppure sentito nominare, ehm...  Ecco, ora le veterane del "settore" che mi leggono penseranno che merito un lancio di pomodori marci... A quanto pare il protagonista, Mr Thornton, è da sempre un mito romantico, al pari di Mr Darcy, del Capitano Wentworth e così via... Solo io, fino a pochi giorni fa, ignoravo la sua esistenza... Chiedo venia! Comunque sia, consiglio caldamente la visione di questa serie, come sempre interpretata da attori favolosi che nella perfida Albione sono amatissimi e qui completamente sconosciuti, o quasi. Il protagonista di N&S, Richard Armitage, non è assolutamente il classico belloccio di plastica, ma ha fascino da vendere, oltre a una splendida voce. Tormentato, impulsivo e passionale, è il Mr Thornton perfetto.
Ora però basta languori romantici, altrimenti 1) Non combino più nulla; 2) Il mio unico lettore maschio (grazie Luca per esserti palesato!) si spaventa e abbandona la nave.
Vi abbraccio e torno a dedicarmi a cose molto, molto più prosaiche! A... prestino, vostra E.

P.S: poco dopo aver chiuso questo post, ho saputo che è morto Giuseppe Bertolucci, fratello del più celebre Bernardo. Non sono mai stata una grande estimatrice del cinema dei Bertolucci, lo confesso, anche se la loro statura intellettuale è innegabile. Però otto anni fa la mia strada si è incrociata, per un attimo, con quella di Giuseppe: gli sono subentrata come affittuaria in un appartamento, che per lui, credo, era più una base d'appoggio che una vera casa. Quando la proprietaria me lo mostrò, lui non c'era. Ricordo che pensai: ecco le tipiche tracce di un regista... Un po' di disordine, libri e giornali sparsi, mozziconi di sigarette... Mi sentivo emozionata: il padre di Giuseppe e Bernardo era Attilio Bertolucci, un poeta straordinario, intenso e commovente, che pochissimi giovani conoscono e invece andrebbe letto e riletto già a scuola, perché fa bene al cuore. Mia nonna lo adorava, mi ci sono avvicinata grazie a lei. Per me, sentimentale e un po' patetica, vivere nell'ex casa di suo figlio era uno strano privilegio. E ora vorrei augurargli "buon viaggio".

lunedì 4 giugno 2012

Numeri

5.1, come l'ennesima scossa che ieri sera ha flagellato terre tanto vicine alla mia.
4, come i risvegli di mia figlia stanotte. Agitazione da terremoto? Caldo umido da Bassa padana? Regressione?
4-5, come le ore di sonno che più o meno riesco a farmi da quando è successo la prima volta.
28, come i giorni (pochissimi) che ho a disposizione per finire il lavoro cui vi accennavo... e che alla fine mi è stato davvero assegnato, sìììììì!
1, come la bugia che ho dovuto propinare a un altro committente così da poter accettare il lavoro di cui sopra... io che non le ho mai sapute dire, nemmeno innocenti, nemmeno da bambina.

Sono ancora giorni complicati, care blogamiche (parlo sempre al femminile solo perché finora non si è palesato alcun blogamico, ma non ho pregiudizi di sorta, giuro!). Scusate se vi leggo poco (magari al volo, senza commenti) e posto ancora meno. Però vi penso, e questo piccolo spazio virtuale tutto mio mi manca molto. Un bacio, E.

lunedì 21 maggio 2012

Stupore e tremori

Ho scelto questo titolo per riassumere il momento che sto vivendo e ricordare un bellissimo romanzo della folle (ma geniale) Amélie Nothomb letto qualche anno fa.
A due passi da casa mia, il terremoto ha seminato terrore, distruzione e morte, in una zona considerata a rischio sismico "medio-basso". Migliaia di sfollati, chiese, campanili e palazzi storici sbriciolati in venti lunghissimi secondi. Nel mio paese lo abbiamo sentito in tutta la sua forza, come un rombo che aumenta progressivamente, un tuono che non dimentichi più. Ieri io e Gunther abbiamo fatto un giro in macchina nei dintorni, increduli di fronte all'assoluta mancanza di crepe, calcinacci e simili... a quindici chilometri di distanza il disastro, e qui nulla, solo paura, paura e paura. Il mio primo pensiero, sabato notte, è andato a mia figlia, che ha continuato a dormire tranquilla nel suo lettino, facendo solo un piccolo versetto, forse disturbata dal cane del vicino che abbaiava senza sosta. Non sopporto la retorica mielosa sulla maternità, ma in quel momento mi sono sentita _madre_ più che mai... l'istinto di protezione della prole ha prevalso su ogni altro stato d'animo, panico compreso. Mi sono chiesta quale fosse la scelta migliore per la piccola, e insieme a Gunther, dopo aver verificato che nell'appartamento, nel palazzo e fuori non c'erano danni, abbiamo deciso di non svegliarla e restare in casa, ovviamente pronti a uscire in caso di emergenza.
Ora siamo qui, in un lunedì piovoso e freddo, a cercare di riprendere il filo della quotidianità, di lavorare, di vivere, consapevoli che potrebbe arrivare un'altra forte scossa: quelle di assestamento, per ora, non si sono fermate, anche se ne abbiamo avvertite solo alcune.
E pensare che sabato è stato un giorno splendido, colmo di energia positiva, di gioia e di entusiasmo... Venerdì pomeriggio, infatti, ho ricevuto una proposta lavorativa che mi ha lasciato incredula, basita... Uno di quei treni che passano una volta sola e che possono aprire scenari inaspettati, rimescolare le carte, farti ritrovare la fiducia in un mestiere che stavi seriamente pensando di abbandonare. Care blogamiche, fate il tifo per me... entro pochi giorni saprò se la cosa andrà in porto. Ora devo mettermi di buona lena a lavorare a questo progetto, sperando che mi aiuti a non pensare al resto.
Grazie di cuore per l'affetto con cui avete accolto il mio ritorno su questi schermi! Un abbraccio e a prestissimo (o a prestino, che è più verosimile, va'...). Vostra Elinor

giovedì 17 maggio 2012

A volte ritornano...

Sì, sono viva. I miei, ehm... quattro lettori forse stavano iniziando a preoccuparsi. Trovare un commento della cara ElizabethB mi ha convinta a scrivere un breve post, nonostante mi fossi ripromessa di farlo solo quando sarei guarita del tutto. In questo arco di tempo ho avuto qualche problema di salute, non grave ma fastidioso e limitante, che mi ha fatto riflettere (perdonate la retorica) su quante cose ho sempre dato per scontate. Sulle fortune che ho avuto, e che spesso ho ignorato, preferendo l'autocommiserazione immotivata. Ora che inizio a sentirmi meglio, sto cercando di recuperare il tempo perduto, ma non è semplice... Spazio per il web, nelle ultime settimane, praticamente zero: ho utilizzato le pochissime energie di cui disponevo per occuparmi di mia figlia (anche perché Gunther è stato in trasferta quasi senza soluzione di continuità) e tentare in qualche modo di lavorare. Ringrazio chi mi ha pensata e prometto che farò di tutto per "rimettermi in pari". Lati positivi dei problemi di salute: lunghe dormite (grazie alla preziosa collaborazione della nana) e visione serale, sdraiata sul divano, di svariate serie "letterarie" in costume della BBC, una più bella dell'altra, con attori strepitosi per lo più sconosciuti in Italia. Meraviglia!
Baci diffusi, e a risentirci presto, spero!

lunedì 19 marzo 2012

Le dieci cose...

Ispirata dalla cara mafalda, ho pensato di festeggiare il mio compleanno (ahimé, i quaranta si avvicinano inesorabili...) elencando a mia volta, in ordine sparso, le dieci cose che mi fanno stare bene. Premessa n. 1: le scriverò di getto, seguendo l'istinto, e senza dubbio dimenticherò qualcosa di importante. Premessa n. 2: sono pudica come la vera Elinor Dashwood, quindi escluderò dall'elenco tutto ciò che possa avere una valenza séésssuàààle (per citare la favolosa Anna Marchesini).

1) Il sorriso di mio marito a inizio giornata.
2) L'abbraccio di mia figlia e il suo profumo quando si sveglia al mattino.
3) Le fusa del mio gatto in inverno, la sera, quando guardo la TV e mi sale in braccio.
4) La pizza (spessa, alla napoletana), la pasta fresca, i torroncini di Benevento (se non li conoscete provateli!!!), la granita siciliana alla mandorla... il buon cibo che conforta, insomma!
5) Entrare dal parrucchiere con i capelli crespi e semibianchi come la strega Bacheca e uscirne liscia e castana.
6) I tramonti, sempre e dovunque, anche sull'Autogrill.
7) Le risate al telefono con la mia amica F.
8) Le gemme sugli alberi in primavera.
9) Gli anziani che hanno voglia di vivere, sorridere e raccontare.
10) Sfogliare e annusare un libro nuovo.

Un saluto caro ai miei lettori... vado ad apprestare i festeggiamenti! :-)

giovedì 15 marzo 2012

Non c'ero, e se c'ero dormivo...

Ieri pomeriggio in treno, tornando da un piacevole appuntamento con il dentista, ho sentito una voce sonora e tristemente familiare. La madre di una compagna di nido di Cricri era seduta a qualche fila di distanza da me e chiacchierava con un'amica di fatti assai personali usando il tono inconfondibile di chi ambisce a farsi ascoltare. La signora mostrava orgogliosa la sua pancia nuova di zecca: aspetta un figlio, il terzo in poco più di due anni, e ancora non si capacita di come sia accaduto. In tutti e tre i casi, è rimasta incinta senza volerlo. Il secondo pargolo, a suo dire, è rimasto "silente" dentro di lei per sei mesi. Conoscevo già questa storia allucinante, ma ieri ho appreso nuovi dettagli. Forse vi sarà capitato di vedere su Real Time "Non sapevo di essere incinta" (lo so, lo so, prima "SOS Tata" poi questo... lanciatemi pure i pomodori, ché me li merito tutti): in quel programma da incubo, se non altro, le sventurate protagoniste sono, in media, adolescenti del tutto inconsapevoli, e questo, un minimo, le giustifica. Ma che dire di una trentacinquenne che afferma: "mi sentivo gonfia, bevevo in continuazione tisane, facevo gli addominali ma quella ca...o di pancia non se ne andava... mi chiedevano se ero incinta e io rispondevo impossibile, sto ancora allattando... poi un giorno ho sentito una strana massa che si muoveva, mi dava fastidio, e ho fatto il test... ero di 27 settimane...". E via di dettagli sulla sua vita sessuale, sulla reazione scomposta del marito, il quale si è irritato parecchio scoprendo che un feto di 27 settimane, ahimé, bisogna tenerselo per forza. "Dopo siam stati tutti contenti, eh, tanto che adesso ci è venuto pure il terzo, anche stavolta così, non so come...". Durante le prime due gravidanze e i relativi allattamenti la signora ha continuato a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. "Mi dicevano attenta, potrebbero nascere sottopeso e avere problemi respiratori, ma io non ci ho mai creduto. Sono nati un po' magrini, ma è un fatto di costituzione, sono magra anch'io, vedi? Col cavolo che smetto". Ovviamente sta continuando a fumare anche adesso. L'anno scorso, alla festa di fine anno dell'asilo, teneva le sigarette nella carrozzina, accanto alla testa del secondogenito addormentato.
Quando siamo arrivate a destinazione avevo il voltastomaco. Ho aspettato che il soggetto in questione scendesse, ho inforcato gli occhiali da sole e finto di telefonare. Non avevo nessuna voglia di salutarla, e per fortuna non si è accorta di me. Ha attraversato radiosa il piazzale della stazione, con i suoi trendyssimi jeans skinny premaman e il trucco impeccabile. Io mi sono messa a pensare a M, sopravvissuta per miracolo a un intervento che le ha tolto la possibilità di diventare madre; a L, che ha dovuto affrontare un'operazione, un aborto e tre fivet per riuscire ad avere la sua bambina; a tante altre donne che ho conosciuto in questi anni, virtualmente o personalmente, e alle loro storie di ricerca, di dolore e di speranza. Ho pensato anche alla mia, di storia, e a come, alla fine, sono stata fortunata, perché Cricri si è fatta attendere a lungo, ma è arrivata da sola, come un fulmine a ciel sereno, quando stavamo per iniziare il percorso della PMA.
L'incontro con la madre inconsapevole e snaturata, come si diceva un tempo, ha tirato fuori il mio lato moralista, che cerco sempre di reprimere... Non bisogna giudicare, mi ripeto come un mantra... Non esiste una mano divina che assegna i figli alle madri "meritevoli"... E forse non esistono, a priori, madri "meritevoli"... Così dicevo a me stessa qualche anno fa, quando tentavo disperatamente di restare incinta, e così mi sono detta anche ieri, faticando un po'. Lasciamo pure queste madri "per caso" alla loro beata incoscienza. Oggi, però, voglio aggiungere: modifichiamo la legge 40 per offire qualche possibilità in più alle coppie che vogliono un figlio e spesso sono costrette a fuggire all'estero; semplifichiamo le pratiche di adozione, ormai paragonabili a una lunghissima corsa a ostacoli. Il 21 marzo di tre anni fa, in un giorno di sole e di vento, ho scoperto di aspettare mia figlia. Buon inizio primavera a tutte le donne che stanno inseguendo la propria realizzazione, con o senza maternità.

lunedì 12 marzo 2012

Nomen omen

Da quando vivo nella nebbiosa ma ridente provincia bassopadana ho scoperto un'usanza di cui, da cittadina un po' snob, ero totalmente all'oscuro: gli annunci mortuari. Non sto parlando dei classici necrologi pubblicati sui quotidiani, ma dei manifesti più o meno elaborati affissi per le strade, sui cartelloni pubblicitari, in tempo quasi reale: a poche ore dal trapasso della prozia novantacinquenne, li trovi già al loro posto, freschi di stampa, con tutte le indicazioni del caso (luogo del funerale, cimitero in cui verrà sepolto il caro estinto, non fiori ma opere di bene, ecc. ecc.). Mi dicono che siano ufficialmente illegali, ma non è questo il punto.
Sabato mattina, mentre facevo la spesa, ho saputo della dipartita di quattro anziani della comunità locale: Faustina, Vilde, Solidea e Vittorino. Come è facile immaginare, sono rimasta particolarmente impressionata dai nomi. Nomi che oggi non si usano più ed evocano tempi passati, tanto che, dopo una risata iniziale, leggendoli sono stata investita da un'onda di malinconia. Anche i miei quattro nonni avevano nomi bellissimi e improbabili (ho usato l'imperfetto, ma in realtà un nonno ce l'ho ancora: compirà cent'anni a settembre, se tutto va bene - seguirà post ad hoc). Il nome scelto per un figlio porta sempre con sé un carico, inutile negarlo. Un carico di tradizione, di ricordi o di speranze, che può rivelarsi un peso ma anche un retaggio prezioso. Senza dubbio i genitori di Vilde e Vittorino, novant'anni fa, avevano per loro aspettative diverse rispetto a quelle nutrite, oggi, dai genitori di Chanel, Oceano o Maicol-Chevin (gli appassionati del genere mi perdonino, ma qui nella Bassa la combinazione fra tipici cognomi locali - chessò, Barigazzi - e nomi stranieri deturpati sortisce effetti esilaranti). Sono sempre stata contenta del mio nome, anche se porta con sé una nota di tristezza perché fu scelto _anche_ per ricordare un'amica di famiglia scomparsa prematuramente. Adoro il nome di mia figlia, che io e Gunther abbiamo voluto, fondamentalmente, per tre motivi: 1) dolcezza del suono; 2) internazionalità (resta invariato in tutte le lingue) ; 3) omaggio a un personaggio letterario, anzi a due (ehm... qui c'è soprattutto il mio zampino, lo ammetto!). Spero che, crescendo, anche lei lo apprezzerà e lo sentirà "suo". Vederla diventare grande, aprirsi al mondo e staccarsi a poco a poco da me è una gioia immensa ma agrodolce, e in giornate come queste vorrei fermare il tempo per un istante, impedire alla sabbia di scorrere nella bussola, togliere la pila all'orologio. Sono così monotematica da sfiorare la pedanteria, lo so, ma ancora non ho trovato il modo per convivere serenamente con il mio agnosticismo accettando il trascorrere dei giorni e l'idea della vecchiaia e della fine. Ecco perché mi fermo sempre, come ipnotizzata, di fronte agli annunci mortuari, cercando di esorcizzare con un sorriso il nodo alla gola, di salutare Faustina, Vilde, Solidea e Vittorino nella speranza che stiano giocando allegramente a briscola da qualche parte, "tocciando" la ciambella nel vino. Sit eis terra levis!

giovedì 8 marzo 2012

Io sono figlio unico...

... pure di madre vedova/magari un po' nevrotica con me, cantava qualche anno fa Francesco Baccini. Quando frequentavo le elementari, nella mia classe i figli unici superavano di gran lunga i bambini con fratelli o sorelle. Ricordo che nessuno si stupiva della cosa: era del tutto normale. Praticamente tutte le nostre madri lavoravano, e molte di esse, proprio per questo, avevano deciso di limitarsi a un solo figlio. Se ne parlava con assoluta tranquillità. Scrivo tutto questo perché ho l'impressione che, da qualche tempo, stiamo assistendo a un'inversione di tendenza nell'immaginario collettivo: riprodursi ed esibire le proprie creaturine come status symbol è tornato di moda, anche tra i VIP, tanto che la scelta di non avere figli o di averne uno solo viene spesso stigmatizzata. Nei due lunghi anni in cui io e Gunther abbiamo cercato di avere un figlio (l'argomento meriterebbe un post a parte, che forse scriverò se e quando mi sentirò pronta), siamo stati subissati di osservazioni di ogni genere. In pochissimi erano al corrente della nostra difficile ricerca, e noi, di fronte alla fatidica, molesta domanda ("Non volete figli?"), cercavamo di sviare, depistare, se era il caso fulminare con lo sguardo. "Per ora stiamo bene così" era la nostra frase passepartout. Apriti cielo... I nostri interlocutori non potevano accettare cotanto ardire, e si sbizzarrivano in commenti eterogenei, da "i trentenni di oggi sono terribilmente egoisti" a "datevi una mossa, che la fertilità diminuisce drasticamente con gli anni" passando per "davvero non volete provare la gioia più grande della vita?".  Al di là delle fitte di dolore che mi provocavano queste risposte, non potevo sopportare il presupposto da cui partivano: l'idea che tutti _debbano_ volere dei figli perché la società, in qualche modo, lo impone. Pazzesco. Quando finalmente rimasi incinta, pensavamo di averla scampata, e invece... Più o meno al sesto mese di gravidanza, le stesse persone che mi avevano rivolto la simpatica domanda iniziarono a pormene un'altra, forse ancor più fastidiosa: "A quando il fratellino?". E noi, ingenuamente, a riproporre la stessa formuletta: "Per ora stiamo bene così". Elenco delle possibili reazioni: "Noooo... i figli unici crescono viziati, prepotenti e con disagi psicologici". "I figli unici si sentono soli e incolpano di questo i genitori". "Quando invecchi, è importante avere almeno due figli che possano accudirti". Arghhhh. Ora che Cricri ha superato i due anni, la domanda ricorre più o meno ogni giorno. Il fatto è che, sebbene da un punto di vista meramente "fisico" potremmo forse avere altri figli, è assai probabile che ciò non avverrà. Il mio Gunther lavora moltissimo, e fa spesso trasferte all'estero che mettono già così a dura prova l'equilibrio e la routine familiari. Io sono una moderna freelance (leggi "precaria") della cultura, che non ha diritto al congedo per maternità. Anche se lavoro prevalentemente da casa ho spesso scadenze urgenti da rispettare e non riesco davvero a immaginarmi con un altro figlio e un marito lontano circa dieci-quindici giorni al mese... Per questo siamo giunti alla sofferta decisione che, se qualcosa a breve non cambierà nel mestiere di Gunther, ci fermeremo a quota uno. In certi momenti mi sento serena, so che è la scelta più giusta per noi e per la piccola, mentre in altri mi accorgo, spaventata, che la forma mentis dei miei "inquisitori" si è impossessata di me e mi fa pensare che, forse, non sono "all'altezza". Che esistono mamme con mariti all'estero capaci di allevare tre o quattro pargoli (una su tutte, la mitica elastigirl, ma ci sono anche le mogli dei militari, tanto per fare un esempio...). Mamme che mi sembrano, banalmente, "più adeguate" di me. Più mamme. Qualche settimana fa ho incontrato, al consultorio, un'ostetrica che mi è stata di grande aiuto durante l'allattamento. Mi ha chiesto se avevo intenzione di avere altri figli, e le ho risposto in tutta sincerità. Lei, convinta in buona fede di aiutarmi, mi ha dato involontariamente una stilettata, dicendomi: "Mi sembra una decisione saggia. Perché complicarsi la vita? Esistono supermamme e mamme normali. Tu sei una mamma normale". Ecco, quel "normale" mi ha distrutta. Ci ho letto tutta la mia inadeguatezza, la mia incapacità. Ho subito immaginato mia figlia giocare da sola invocando un fratello o una sorella, accudire da sola due genitori ormai vecchi, incapaci di intendere e di volere... E via con le immagini strazianti, con la vocina interiore che mi sussurra "se solo tu facessi uno sforzo in più...". Poi la vocina tace, le visioni apocalittiche scompaiono, e ricomincio a guardare fuori dalla finestra, a gioire di questa primavera incipiente e a dirmi che forse, dopotutto, sono quella che Winnicott definirebbe "una madre sufficientemente buona",  e questo deve bastarmi.

lunedì 27 febbraio 2012

Di opere d'arte e piedistalli

Innanzitutto, un breve cappello introduttivo per ringraziare le mie tre (!!!) impavide follower, di cui sono molto orgogliosa, perché, inutile raccontarsela, ‘sti blog sono una “stanza tutta per noi”, un regalo che ci facciamo e compagnia bella, ma in fondo in fondo tutti i blogger, anche quelli che adottano la posa schiva, hanno voglia di essere letti, di trovare un commento, di non sentirsi soli e sconsolati nel mare magnum del web, insomma.
Oggi sono un po’ malinconica, e per scacciare il malumore ho pensato di condividere con voi una storiella ormai lontana nel tempo, che mi è stata riportata alla mente qualche giorno fa dall’incontro con un simpatico libretto di cui poi vi dirò.
Dovete sapere che ho un enorme debito di riconoscenza nei confronti di mio marito, che per comodità in questa sede chiameremo Gunther (perdonatemi ma non riesco a mettere la dieresi). Ebbene, il mio Gunther, quasi dieci anni fa, quando era solo un virgulto ventitreenne, noleggiò un camioncino, ci caricò sopra le sue masserizie e abbandonò il suo paese natale, prospero e civilizzato, per trasferirsi nella Bassa Padana. Tutto questo per amore, solo per amore. Ci eravamo conosciuti l’anno prima durante il suo Erasmus, era scattata la scintilla e dopo il suo ritorno a casa avevamo per mesi intrattenuto una faticosa ma divertente relazione a distanza. I suoi genitori mi detestavano, ai loro occhi ero l’incarnazione del male: italiana, di tre anni più vecchia del figliolo adorato, non battezzata. Dire che mi fecero la guerra è un eufemismo. Avete presente padre Germont nella Traviata, quando prega Violetta di rinunciare ad Alfredo per non rovinargli l’esistenza? Ecco, loro sono stati molto, molto meno cortesi. Ma di questo, magari, parleremo un’altra volta. Il punto è che il mio prode Gunther, posto di fronte all’aut aut “o noi o l’italica sgualdrina”, salutò senza rimpianti l’allegra compagnia che gli profetizzava sventure di ogni genere, e con il camioncino di cui sopra venne da me per iniziare a convivere. Lui 23 anni, io 26. Gulp. Capirete senz’altro che una simile prova d’amore non si può dimenticare facilmente. Tre anni dopo Gunther chiese la mia mano, e a quel punto si pose un serio problema: la mia dolce metà era (è) cattolica, io ero (sono) atea-agnostica-razionalista- animista-in perenne crisi mistica. Poiché sposarsi in comune per Gunther sarebbe stata una rinuncia dolorosa, memore del suo gesto di tre anni prima mi sono volentieri “sacrificata”, e abbiamo deciso di convolare a nozze in chiesa con il cosiddetto “rito misto” (i genitori, alla notizia che un sacerdote avrebbe benedetto la nostra blasfema convivenza, fecero un passo indietro, tanto che oggi abbiamo rapporti più che cordiali, ma anche questa è un’altra storia). Un’amica ci presentò un prete della Bassa un po’ fuori dagli schemi, estremamente aperto, che ci accolse con un’umanità straordinaria ascoltando la nostra storia. A quel punto mancava un’ultima, faticosa tappa, che però non mi spaventava più di tanto: il corso prematrimoniale. Ingenuamente, ero convinta che lo avrebbe tenuto il nostro mitico “don”, e che quindi sarebbe stato rapido, indolore e persino istruttivo, ma sbagliavo di grosso. Il don era troppo impegnato, e, cosa per me tuttora inspiegabile, aveva affidato il corso a un gruppo di coppie neocatecumenali. Argh. Posso solo dirvi che il leit motiv degli incontri era “l’uomo è un’opera d’arte, la donna il suo piedistallo”. Ma ci sono molte altre perle che vorrei condividere con voi, come “la donna che lavora distrugge la famiglia”, “il pater familias deve avere sempre l’ultima parola, la moglie non deve permettersi di contraddirlo davanti ai figli”, “i lutti e le malattie sono una benedizione divina”, “la sottomissione, per la donna, all’inizio è difficile ma poi trasmette una gioia immensa”. Vi assicuro che sono sempre stata molto rispettosa delle convinzioni e della fede altrui, ma questo era davvero troppo. Potete immaginare come mi sentii quando, a metà della prima lezione, ciascun partecipante fu invitato a parlare del suo rapporto con la fede… Io ero l’unica non battezzata, ovviamente… Cercai di essere il più sincera possibile, parlando del mio interesse per tutte le religioni, del rispetto per mio marito e così via, ma ovviamente non volevo spacciarmi, pur di compiacerli, per una convertita sulla via di Damasco… Mentre parlavo, gli occhi di una delle “insegnanti”, decisamente la più talebana, si trasformarono in fessure; il suo sorriso stampato si tramutò in ghigno… In pochi istanti mi scorsero davanti agli occhi varie immagini, dalla matrigna di Cenerentola che chiude la figliastra a chiave nella soffitta ai cappucci del Ku Klux Clan, passando per le streghe arse al rogo durante l’Inquisizione. Brrrr. Pauraaaa. Cercavo di scacciare questi fantasmi ripetendomi che i miei nuovi amici non potevano essere poi così cattivi, e mi sforzavo di trasformarli negli innocui ed esilaranti Flanders dei Simpson… Niente da fare. Incontro dopo incontro, la situazione precipitava. Una sera, l’intera lezione fu dedicata all’importanza della sottomissione della donna, con tanto di citazioni bibliche ed esempi pratici (tratti, ovviamente, dalle vite degli insegnanti). Nella saletta parrocchiale regnava il silenzio… Io fremevo, incerta tra il desiderio di dare fuoco alle polveri e quello di fuggire a gambe levate, magari in una comune danese. Quand’ecco che il mio Gunther, per l’ennesima volta, seppe stupirmi: alzò il braccio per fare un intervento! Gli amiconi avevano citato alcuni passi di San Paolo sulla donna, e Gunther ebbe l’ardire di uscirsene più o meno così: “non dobbiamo dimenticare che questi passi vanno contestualizzati, perché risalgono a duemila anni fa. All’epoca, il ruolo della donna nella società era profondamente diverso, neanche lontanamente paragonabile a quello di oggi”. Apriti cielo. Volevo morire. Ho subito immaginato Gunther scomunicato a vita per colpa mia. La reazione dei nostri fu alquanto piccata, per usare un eufemismo… Nessuna possibilità di dialogo, solo un netto rifiuto delle nostre posizioni. Io feci traboccare il vaso decidendo di intervenire per dare man forte a Gunther, e i nostri nomi furono scolpiti a caratteri cubitali nelle loro liste di proscrizione. Saltammo i due incontri successivi inventandoci un’influenza perniciosa, all’ultimo restammo omertosamente zitti per paura che non ci dessero l’attestato finale, impedendoci di sposarci come Renzo e Lucia. Alla fine del corso venne organizzato un pranzo in un ameno ristorantino della zona, e la mia amicona (quella degli occhi a fessura) al momento dei saluti si rifiutò di porgermi la mano. Il prezioso certificato, però, era già in nostro possesso, quindi tanti saluti…
Questa vicenda surreale mi è tornata alla mente venerdì scorso, quando un’amica che ricordava i miei racconti deliranti mi ha segnalato l’esistenza del libro Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano, uscito da diversi mesi, a dire il vero. L’autrice, giornalista RAI fascinosa, impeccabile e madre di quattro figli, parla dell’importanza della sottomissione femminile nel matrimonio, del ruolo "accogliente" della donna, rivisitando in chiave più accattivante le posizioni dei neocatecumenali. Cito dal suo blog: “Anche una donna che lavora, e che lo fa ad alto livello, può essere sottomessa se ascolta il marito, lo rispetta, tiene in gran conto le sue opinioni e le mette prima delle proprie. Io invito le donne alla sottomissione, ma nel frattempo lavoro in un telegiornale nazionale, ho girato documentari a New York e corso maratone oltre Oceano.”. Wow! Proseguo con un brano del libro:
"Dovrai imparare a essere sottomessa, come dice san Paolo. Cioè messa sotto, perché tu sarai la base della vostra famiglia. Tu sarai le fondamenta. Tu sosterrai tutti, tuo marito e i figli, adattandoti, accettando, abbozzando, indirizzando dolcemente. E' chi sta sotto che regge il mondo, non chi si mette sopra gli altri". A volte ritornano. L'opera d'arte e il piedistallo. L'elogio della sottomissione e dell'obbedienza, vendute come forma nobile, elevata e gioiosa di forza femminile. Pericolosissimo, a mio parere. Donne che mettono le opinioni del marito prima delle proprie, che "abbozzano", che "accettano", in nome dell'armonia coniugale e familiare... L'autrice la definisce "pratica estrema per donne senza paura", ma a me pare che non ci sia niente di estremo o rivoluzionario in una simile visione. La Miriano cerca di mostrarsi aperta e moderna, esaltando il proprio lavoro di successo, ma nel blog si definisce anche "aspirante casalinga"... Conquista i lettori con uno stile ironico, fresco e spiritoso, e per creare ulteriore empatia esce per un attimo dal Mulino Bianco sottolineando quanto sia faticoso essere mogli e madri. La sostanza, però, non cambia: l'autrice esorta le donne a continuare a fare quello che, purtroppo, sono già state costrette a fare per qualche decina di migliaia di anni, con i risultati che tutti conosciamo... Credo che leggerò il libro per intero appena possibile, comunque: ha avuto un notevole successo di vendite e vorrei cercare di capire, per curiosità "antropologica", in che cosa risiede la sua capacità di attrazione.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, vi ringrazio di cuore. Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate... Buon pranzo, e permettetemi un rigurgito sessantottino e "veterofemminista" (come qualcuno lo definirebbe): W le donne disubbidienti! ;-)

giovedì 23 febbraio 2012

Lei

Ha i capelli lisci lisci, tagliati in un caschetto sbarazzino con frangia d'ordinanza, mentre io li ho crespi, ribelli e ingestibili.
E' curiosa di tutto e non ha paura di niente e di nessuno, solo del collirio antibiotico. Io sono una mammoletta che tende a fuggire a gambe levate di fronte a qualsiasi novità (per non parlare dell'esame del sangue...).
E' una piccola diva inside, felice e sicura di sé, che al mattino entra all'asilo con un sorriso smagliante gridando "ta-dàààààààn" al suo pubblico di nani. Io detesto le luci della ribalta e a volte, se potessi, girerei coperta da un sacco di iuta.
Ha idee chiarissime e le difende strenuamente. Non sa cosa significa farsi mettere i piedi in testa. Io, dall'epoca in cui la più figa delle elementari mi vessava in quanto nerd occhialuta, sfigatella e cacasotto, sono una professionista dell'inzerbinamento. Cerco tuttora, senza successo, di imparare l'arte dell'assertività.
E' allegra ed entusiasta per principio, a oltranza, perché la vita è bella e bisogna godersela con sano edonismo. Io devo sforzarmi assai per uscire dal mio guscio di pessimismo cosmico e autocompatimento (lei mi è di grande aiuto, in questo... sarà che è Sagittario e io sono Pesci?).

E' una parte di me, ma di me, per ora, ha solo il perfezionismo sfrenato, la memoria da elefante per canzoni e filastrocche e la permalosità. E ogni volta che la guardo penso ai versi di Gibran: "Your children are not your children. (...) They come through you but not from you".

giovedì 26 gennaio 2012

Tramonti a nord-est

Ne sto ammirando uno magnifico, dalla finestra della "stanza polivalente" (= studio della sottoscritta + cameretta della creatura, in attesa di una casa più grande... seee, ma quando mai?), effimero come sempre in questa stagione ma non per questo meno evocativo. Vediamo... a chi potrei dedicarlo? In primis a te, simpatico/a amico/a che ieri ti sei appropriato/a dei miei occhiali da vista caduti davanti all'asilo, forse ingannato/a dalla custodia, che ti ha fatto pensare a un bel paio di occhiali da sole. Grazie, grazie di cuore, da parte mia, che sto _letteralmente_ brancolando nel buio, e soprattutto del mio ottico, che non sperava di rivedermi così presto.
Dopo la dedica farlocca e sdrammatizzante, ecco quella vera.  Per M, una donna forte, che sta aspettando con grande compostezza di essere sottoposta a un'operazione devastante, la cui sola prospettiva mi agghiaccia. Amica mia, so che non ami la retorica, che preferisci i fatti concreti alle parole vuote, ma lascia che ti auguri dieci, cento, mille, diecimila tramonti come questo. A prestissimo.

lunedì 23 gennaio 2012

Regali inaspettati

Ho trascorso 24 ore in una splendida città del nord-est per tenere un seminario, ma sono riuscita a unire l'utile al dilettevole e a incontrare colleghe di lavoro che conoscevo solo "virtualmente" grazie ai nostri scambi di e-mail. Il tempo trascorso con loro e con i miei allievi è stata una vera boccata di ossigeno, tanto che oggi mi sento energica, serena come non mi capitava da giorni. Quante persone piene di sensibilità, talento e idee, immuni dall'appiattimento umano e culturale che sembra travolgere il nostro paese... E che privilegio poter scambiare esperienze e conoscenze con loro.

lunedì 16 gennaio 2012

Domani

Vorrei che fosse già domani. Oggi è una giornata grigia, cupa, triste. Una carissima amica sta male, molto male; domani la sua situazione clinica dovrebbe diventare più chiara, molto probabilmente verrà operata, e io non riesco a smettere di pensarci.

Nel pomeriggio ho fatto l'errore di leggere su internet troppi articoli relativi al naufragio della Costa Concordia, di guardare troppe fotografie della nave fantasma ferita, spiaggiata... il pensiero di quella bimba di cinque anni, quasi certamente morta insieme al padre, mi tormenta. Che fine straziante e assurda, per loro e per le altre vittime.

In momenti come questi vorrei essere supportata da una fede incrollabile, e invece devo fare i conti con la mia visione agnostica e razionale dell'esistenza, con la mancanza di senso delle tragedie che colpiscono gli esseri umani dall'alba dei tempi, con il pensiero atroce che quei dispersi non siano andati incontro a un destino migliore, ma solo al freddo, al buio, al nulla.

Sì, lo ammetto: talvolta invidio chi si raccoglie in preghiera, per le sofferenze dei propri cari o di perfetti sconosciuti, e in questa preghiera trova energia, forza e speranza, per gli altri e per sé.

venerdì 13 gennaio 2012

Tapparella d'oro

Ho sempre avuto una fortuna sfacciata con i vicini. Da un punto di vista "narrativo", intendo: nelle quattro case in cui ho vissuto, la mia capacità di resistenza è stata messa a dura prova, ma ho accumulato esperienze e aneddoti impagabili.
Da più di cinque anni, un'arzilla coppia di circa-settantenni svolge per me la preziosa funzione di sveglia, impedendomi di poltrire oltremisura, ché la giornata deve iniziare presto per essere produttiva. Diciamo intorno alle 6, talvolta anche alle 5.30. Per comodità li chiameremo i Fulvi. Due sono le caratteristiche principali di questa coppia, oltre ai risvegli precoci: l'iperattività e la visione cupa dell'esistenza (la prima è una diretta conseguenza della seconda, credo). I Fulvi non sanno stare nemmeno un istante con le mani in mano. Appena svegli litigano violentemente, accendono la radio a tutto volume, si dedicano a lunghe sessioni di igiene personale e pulizie di casa. Il suono ripetuto del mocio contro il battiscopa, per esempio, accompagna spesso la fine delle mie nottate. Un altro rito immancabile, cui ormai sono quasi affezionata, è quello della tapparella. Più tardi viene giorno, prima i Fulvi alzano le loro tapparelle malandate e cigolanti. L'inverno, come potrete facilmente immaginare, è la stagione peggiore. In questo periodo nostra figlia si sveglia spesso intorno alle 6.30-6.45, vuole il lattuccio suo poi, quando va bene, si riaddormenta per un'altra oretta. Quando va bene. Quando non subentra la variabile tapparella. I Fulvi sentono che la nana è sveglia e mi chiama (isolamento acustico pari a zero, nel nostro palazzo), e prontamente tirano su anche la tapparella sotto la sua camera, vociando. Nell'esatto momento in cui la piccola ha finito di bere il latte, l'ho rimessa nel lettino ed è potenzialmente ben disposta a farsi un altro pisolo. Argh. Da qui la mia idea di insignire i nostri vicini dell'ambito premio "Tapparella d'oro", quando un giorno traslocheremo da qui. Ci dev'essere un piacere viscerale nel poter guardare fuori dalla finestra il paesaggio bassopadano ancora totalmente avvolto nel buio, piacere accresciuto, forse, dalla consapevolezza di aver svegliato mezzo condominio con questo gesto imperioso.  Solo i rammolliti, del resto, dormono più del dovuto. Un lontanissimo sabato io e il consorte, ancora senza prole, ci eravamo attardati a letto fino alle 10. Ricordo che quando tirammo su la tapparella (anch'essa piuttosto rumorosa, a onor del vero) e aprimmo la finestra della camera, la prode signora F, che stava sbattendo il tappeto in terrazza, ci gridò "Complimenti, bella la vita!" con malcelato astio. No, per i Fulvi la vita non è bella, lo dichiarano apertamente e di continuo a tutti. I figli sono bocche da sfamare, i nipoti un peso insostenibile (c'è da dire che in questi anni ne hanno avuto in consegna ben tre, uno più molesto dell'altro, da mattina a sera). Fino alla pensione l'esistenza è vagamente sopportabile perché il lavoro la riempie, ma dopo "inizia lo schifo", per citare il signor F. Le giornate scorrono identiche, segnate da fatica, noia e malattie, il tutto in attesa della fine ultima. Della gente non ci si può fidare, men che meno dei condomini. Unici antidoti a questo mare magnum di dolore: la cura compulsiva della casa e dell'automobile. Il signor F. la lava con infinita dedizione ogni due giorni. Non scherzo. Sembra quasi accarezzarla centimetro per centimetro con le sue pelli di daino. L'Alfa non lo tradirà mai, lui lo sa. Intanto la signora F., sospirando, alterna l'accudimento dei nipoti al lavaggio delle tende e alla preparazione della pasta fresca. La parte più difficile è fare arrivare sera. Alle 9 il signor F. va a nanna, mentre la signora a volte si concede di restare sveglia un po' di più, soprattutto se c'è Ballando con le stelle ("che son tanto bravi, cocca, li hai visti? Però quel ballerino lì ci ha avuto un brutto male, sai, l'ho letto su Confidenze..."). A inizio estate, grandi emozioni: nel nostro paesello per due settimane c'è la Festa dell'Unità, evento mondano per il quale i Fulvi si mettono il vestito della domenica e si scatenano fino a mezzanotte mangiando castrato e ballando il liscio accompagnati da imperdibili orchestre live, i cui cantanti solisti sono quasi sempre Nives e Athos, oppure Samanta e Wilmer. Dopo la "Fescta", come la chiamano loro, si ripiomba nel buio; è ancora giugno, ma è come se fosse già iniziato l'inverno. La cosa più inquietante è che a volte, nella signora F., vedo me tra quarant'anni. Non è corretto, in fondo, che io mi burli di lei. Se già adesso tendo all'autocommiserazione e al pessimismo cosmico, come sarò da ultrasettantenne? Triste, lagnosa, annoiata. E non potrò neppure farmi perdonare producendo a getto continuo tagliatelle e tortelloni: non sono capace e temo non imparerò mai. Sniff.

martedì 10 gennaio 2012

Di fili neri e blog liberatori

"Per molto tempo non sapevo cosa fare da grande. Finché un giorno non ho incontrato un mago. Era un indiano, proprio vestito da mago indiano: seduto seminudo sul tappeto con davanti delle ciotoline di incensi profumati. Lui mi ha fissato da indiano ispirato e poi mi ha detto: 'Se sei venuta fino a qui è perché da qualche parte hai un male. Da che parte?'.
Ci ho pensato ed era vero: qualche male ogni tanto ce l'avevo: un po' la gola, il collo, un prurito ad un orecchio, i crampi ad un polpaccio, un taglio su un dito... e, a ben vedere, era tutto dalla parte destra. 'E' il filo nero della scrittura che ti si è attorcigliato dentro' ha detto lui. 'E' tutto ingarbugliato e ti fa male. Devi tirarlo fuori e dipanarlo, poi starai proprio bene'.
Forse era un ciarlatano, però... ho provato a dipanare il filo nero della scrittura e devo dire che quando me lo tiro fuori mi sento proprio bene."
(Letizia Cella, prefazione a Mamma Cannibale, Nord-Sud Edizioni, 2009)

Circa un anno fa ho aperto un blog su Splinder, ma ho smesso di aggiornarlo dopo poche settimane, per mancanza di tempo, di ispirazione, di energia. Per inaugurare il primo post avevo scelto di ricopiare il testo che fa da prefazione a un delizioso volumetto di filastrocche di Letizia Cella. Approfittando della chiusura di Splinder ho deciso di ritentare l'esperimento e cancellato tutti i post che avevo scritto, salvando però la citazione iniziale, nella quale mi rispecchio tuttora.
Cerco continuamente di "dipanare il filo" perché ho bisogno di leggerezza, la leggerezza che si prova, forse, solo imparando a sciogliere qualche groviglio e a ridere di sé.

Buona lettura a chi passerà di qui.