lunedì 27 febbraio 2012

Di opere d'arte e piedistalli

Innanzitutto, un breve cappello introduttivo per ringraziare le mie tre (!!!) impavide follower, di cui sono molto orgogliosa, perché, inutile raccontarsela, ‘sti blog sono una “stanza tutta per noi”, un regalo che ci facciamo e compagnia bella, ma in fondo in fondo tutti i blogger, anche quelli che adottano la posa schiva, hanno voglia di essere letti, di trovare un commento, di non sentirsi soli e sconsolati nel mare magnum del web, insomma.
Oggi sono un po’ malinconica, e per scacciare il malumore ho pensato di condividere con voi una storiella ormai lontana nel tempo, che mi è stata riportata alla mente qualche giorno fa dall’incontro con un simpatico libretto di cui poi vi dirò.
Dovete sapere che ho un enorme debito di riconoscenza nei confronti di mio marito, che per comodità in questa sede chiameremo Gunther (perdonatemi ma non riesco a mettere la dieresi). Ebbene, il mio Gunther, quasi dieci anni fa, quando era solo un virgulto ventitreenne, noleggiò un camioncino, ci caricò sopra le sue masserizie e abbandonò il suo paese natale, prospero e civilizzato, per trasferirsi nella Bassa Padana. Tutto questo per amore, solo per amore. Ci eravamo conosciuti l’anno prima durante il suo Erasmus, era scattata la scintilla e dopo il suo ritorno a casa avevamo per mesi intrattenuto una faticosa ma divertente relazione a distanza. I suoi genitori mi detestavano, ai loro occhi ero l’incarnazione del male: italiana, di tre anni più vecchia del figliolo adorato, non battezzata. Dire che mi fecero la guerra è un eufemismo. Avete presente padre Germont nella Traviata, quando prega Violetta di rinunciare ad Alfredo per non rovinargli l’esistenza? Ecco, loro sono stati molto, molto meno cortesi. Ma di questo, magari, parleremo un’altra volta. Il punto è che il mio prode Gunther, posto di fronte all’aut aut “o noi o l’italica sgualdrina”, salutò senza rimpianti l’allegra compagnia che gli profetizzava sventure di ogni genere, e con il camioncino di cui sopra venne da me per iniziare a convivere. Lui 23 anni, io 26. Gulp. Capirete senz’altro che una simile prova d’amore non si può dimenticare facilmente. Tre anni dopo Gunther chiese la mia mano, e a quel punto si pose un serio problema: la mia dolce metà era (è) cattolica, io ero (sono) atea-agnostica-razionalista- animista-in perenne crisi mistica. Poiché sposarsi in comune per Gunther sarebbe stata una rinuncia dolorosa, memore del suo gesto di tre anni prima mi sono volentieri “sacrificata”, e abbiamo deciso di convolare a nozze in chiesa con il cosiddetto “rito misto” (i genitori, alla notizia che un sacerdote avrebbe benedetto la nostra blasfema convivenza, fecero un passo indietro, tanto che oggi abbiamo rapporti più che cordiali, ma anche questa è un’altra storia). Un’amica ci presentò un prete della Bassa un po’ fuori dagli schemi, estremamente aperto, che ci accolse con un’umanità straordinaria ascoltando la nostra storia. A quel punto mancava un’ultima, faticosa tappa, che però non mi spaventava più di tanto: il corso prematrimoniale. Ingenuamente, ero convinta che lo avrebbe tenuto il nostro mitico “don”, e che quindi sarebbe stato rapido, indolore e persino istruttivo, ma sbagliavo di grosso. Il don era troppo impegnato, e, cosa per me tuttora inspiegabile, aveva affidato il corso a un gruppo di coppie neocatecumenali. Argh. Posso solo dirvi che il leit motiv degli incontri era “l’uomo è un’opera d’arte, la donna il suo piedistallo”. Ma ci sono molte altre perle che vorrei condividere con voi, come “la donna che lavora distrugge la famiglia”, “il pater familias deve avere sempre l’ultima parola, la moglie non deve permettersi di contraddirlo davanti ai figli”, “i lutti e le malattie sono una benedizione divina”, “la sottomissione, per la donna, all’inizio è difficile ma poi trasmette una gioia immensa”. Vi assicuro che sono sempre stata molto rispettosa delle convinzioni e della fede altrui, ma questo era davvero troppo. Potete immaginare come mi sentii quando, a metà della prima lezione, ciascun partecipante fu invitato a parlare del suo rapporto con la fede… Io ero l’unica non battezzata, ovviamente… Cercai di essere il più sincera possibile, parlando del mio interesse per tutte le religioni, del rispetto per mio marito e così via, ma ovviamente non volevo spacciarmi, pur di compiacerli, per una convertita sulla via di Damasco… Mentre parlavo, gli occhi di una delle “insegnanti”, decisamente la più talebana, si trasformarono in fessure; il suo sorriso stampato si tramutò in ghigno… In pochi istanti mi scorsero davanti agli occhi varie immagini, dalla matrigna di Cenerentola che chiude la figliastra a chiave nella soffitta ai cappucci del Ku Klux Clan, passando per le streghe arse al rogo durante l’Inquisizione. Brrrr. Pauraaaa. Cercavo di scacciare questi fantasmi ripetendomi che i miei nuovi amici non potevano essere poi così cattivi, e mi sforzavo di trasformarli negli innocui ed esilaranti Flanders dei Simpson… Niente da fare. Incontro dopo incontro, la situazione precipitava. Una sera, l’intera lezione fu dedicata all’importanza della sottomissione della donna, con tanto di citazioni bibliche ed esempi pratici (tratti, ovviamente, dalle vite degli insegnanti). Nella saletta parrocchiale regnava il silenzio… Io fremevo, incerta tra il desiderio di dare fuoco alle polveri e quello di fuggire a gambe levate, magari in una comune danese. Quand’ecco che il mio Gunther, per l’ennesima volta, seppe stupirmi: alzò il braccio per fare un intervento! Gli amiconi avevano citato alcuni passi di San Paolo sulla donna, e Gunther ebbe l’ardire di uscirsene più o meno così: “non dobbiamo dimenticare che questi passi vanno contestualizzati, perché risalgono a duemila anni fa. All’epoca, il ruolo della donna nella società era profondamente diverso, neanche lontanamente paragonabile a quello di oggi”. Apriti cielo. Volevo morire. Ho subito immaginato Gunther scomunicato a vita per colpa mia. La reazione dei nostri fu alquanto piccata, per usare un eufemismo… Nessuna possibilità di dialogo, solo un netto rifiuto delle nostre posizioni. Io feci traboccare il vaso decidendo di intervenire per dare man forte a Gunther, e i nostri nomi furono scolpiti a caratteri cubitali nelle loro liste di proscrizione. Saltammo i due incontri successivi inventandoci un’influenza perniciosa, all’ultimo restammo omertosamente zitti per paura che non ci dessero l’attestato finale, impedendoci di sposarci come Renzo e Lucia. Alla fine del corso venne organizzato un pranzo in un ameno ristorantino della zona, e la mia amicona (quella degli occhi a fessura) al momento dei saluti si rifiutò di porgermi la mano. Il prezioso certificato, però, era già in nostro possesso, quindi tanti saluti…
Questa vicenda surreale mi è tornata alla mente venerdì scorso, quando un’amica che ricordava i miei racconti deliranti mi ha segnalato l’esistenza del libro Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano, uscito da diversi mesi, a dire il vero. L’autrice, giornalista RAI fascinosa, impeccabile e madre di quattro figli, parla dell’importanza della sottomissione femminile nel matrimonio, del ruolo "accogliente" della donna, rivisitando in chiave più accattivante le posizioni dei neocatecumenali. Cito dal suo blog: “Anche una donna che lavora, e che lo fa ad alto livello, può essere sottomessa se ascolta il marito, lo rispetta, tiene in gran conto le sue opinioni e le mette prima delle proprie. Io invito le donne alla sottomissione, ma nel frattempo lavoro in un telegiornale nazionale, ho girato documentari a New York e corso maratone oltre Oceano.”. Wow! Proseguo con un brano del libro:
"Dovrai imparare a essere sottomessa, come dice san Paolo. Cioè messa sotto, perché tu sarai la base della vostra famiglia. Tu sarai le fondamenta. Tu sosterrai tutti, tuo marito e i figli, adattandoti, accettando, abbozzando, indirizzando dolcemente. E' chi sta sotto che regge il mondo, non chi si mette sopra gli altri". A volte ritornano. L'opera d'arte e il piedistallo. L'elogio della sottomissione e dell'obbedienza, vendute come forma nobile, elevata e gioiosa di forza femminile. Pericolosissimo, a mio parere. Donne che mettono le opinioni del marito prima delle proprie, che "abbozzano", che "accettano", in nome dell'armonia coniugale e familiare... L'autrice la definisce "pratica estrema per donne senza paura", ma a me pare che non ci sia niente di estremo o rivoluzionario in una simile visione. La Miriano cerca di mostrarsi aperta e moderna, esaltando il proprio lavoro di successo, ma nel blog si definisce anche "aspirante casalinga"... Conquista i lettori con uno stile ironico, fresco e spiritoso, e per creare ulteriore empatia esce per un attimo dal Mulino Bianco sottolineando quanto sia faticoso essere mogli e madri. La sostanza, però, non cambia: l'autrice esorta le donne a continuare a fare quello che, purtroppo, sono già state costrette a fare per qualche decina di migliaia di anni, con i risultati che tutti conosciamo... Credo che leggerò il libro per intero appena possibile, comunque: ha avuto un notevole successo di vendite e vorrei cercare di capire, per curiosità "antropologica", in che cosa risiede la sua capacità di attrazione.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, vi ringrazio di cuore. Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate... Buon pranzo, e permettetemi un rigurgito sessantottino e "veterofemminista" (come qualcuno lo definirebbe): W le donne disubbidienti! ;-)

giovedì 23 febbraio 2012

Lei

Ha i capelli lisci lisci, tagliati in un caschetto sbarazzino con frangia d'ordinanza, mentre io li ho crespi, ribelli e ingestibili.
E' curiosa di tutto e non ha paura di niente e di nessuno, solo del collirio antibiotico. Io sono una mammoletta che tende a fuggire a gambe levate di fronte a qualsiasi novità (per non parlare dell'esame del sangue...).
E' una piccola diva inside, felice e sicura di sé, che al mattino entra all'asilo con un sorriso smagliante gridando "ta-dàààààààn" al suo pubblico di nani. Io detesto le luci della ribalta e a volte, se potessi, girerei coperta da un sacco di iuta.
Ha idee chiarissime e le difende strenuamente. Non sa cosa significa farsi mettere i piedi in testa. Io, dall'epoca in cui la più figa delle elementari mi vessava in quanto nerd occhialuta, sfigatella e cacasotto, sono una professionista dell'inzerbinamento. Cerco tuttora, senza successo, di imparare l'arte dell'assertività.
E' allegra ed entusiasta per principio, a oltranza, perché la vita è bella e bisogna godersela con sano edonismo. Io devo sforzarmi assai per uscire dal mio guscio di pessimismo cosmico e autocompatimento (lei mi è di grande aiuto, in questo... sarà che è Sagittario e io sono Pesci?).

E' una parte di me, ma di me, per ora, ha solo il perfezionismo sfrenato, la memoria da elefante per canzoni e filastrocche e la permalosità. E ogni volta che la guardo penso ai versi di Gibran: "Your children are not your children. (...) They come through you but not from you".