lunedì 19 marzo 2012

Le dieci cose...

Ispirata dalla cara mafalda, ho pensato di festeggiare il mio compleanno (ahimé, i quaranta si avvicinano inesorabili...) elencando a mia volta, in ordine sparso, le dieci cose che mi fanno stare bene. Premessa n. 1: le scriverò di getto, seguendo l'istinto, e senza dubbio dimenticherò qualcosa di importante. Premessa n. 2: sono pudica come la vera Elinor Dashwood, quindi escluderò dall'elenco tutto ciò che possa avere una valenza séésssuàààle (per citare la favolosa Anna Marchesini).

1) Il sorriso di mio marito a inizio giornata.
2) L'abbraccio di mia figlia e il suo profumo quando si sveglia al mattino.
3) Le fusa del mio gatto in inverno, la sera, quando guardo la TV e mi sale in braccio.
4) La pizza (spessa, alla napoletana), la pasta fresca, i torroncini di Benevento (se non li conoscete provateli!!!), la granita siciliana alla mandorla... il buon cibo che conforta, insomma!
5) Entrare dal parrucchiere con i capelli crespi e semibianchi come la strega Bacheca e uscirne liscia e castana.
6) I tramonti, sempre e dovunque, anche sull'Autogrill.
7) Le risate al telefono con la mia amica F.
8) Le gemme sugli alberi in primavera.
9) Gli anziani che hanno voglia di vivere, sorridere e raccontare.
10) Sfogliare e annusare un libro nuovo.

Un saluto caro ai miei lettori... vado ad apprestare i festeggiamenti! :-)

giovedì 15 marzo 2012

Non c'ero, e se c'ero dormivo...

Ieri pomeriggio in treno, tornando da un piacevole appuntamento con il dentista, ho sentito una voce sonora e tristemente familiare. La madre di una compagna di nido di Cricri era seduta a qualche fila di distanza da me e chiacchierava con un'amica di fatti assai personali usando il tono inconfondibile di chi ambisce a farsi ascoltare. La signora mostrava orgogliosa la sua pancia nuova di zecca: aspetta un figlio, il terzo in poco più di due anni, e ancora non si capacita di come sia accaduto. In tutti e tre i casi, è rimasta incinta senza volerlo. Il secondo pargolo, a suo dire, è rimasto "silente" dentro di lei per sei mesi. Conoscevo già questa storia allucinante, ma ieri ho appreso nuovi dettagli. Forse vi sarà capitato di vedere su Real Time "Non sapevo di essere incinta" (lo so, lo so, prima "SOS Tata" poi questo... lanciatemi pure i pomodori, ché me li merito tutti): in quel programma da incubo, se non altro, le sventurate protagoniste sono, in media, adolescenti del tutto inconsapevoli, e questo, un minimo, le giustifica. Ma che dire di una trentacinquenne che afferma: "mi sentivo gonfia, bevevo in continuazione tisane, facevo gli addominali ma quella ca...o di pancia non se ne andava... mi chiedevano se ero incinta e io rispondevo impossibile, sto ancora allattando... poi un giorno ho sentito una strana massa che si muoveva, mi dava fastidio, e ho fatto il test... ero di 27 settimane...". E via di dettagli sulla sua vita sessuale, sulla reazione scomposta del marito, il quale si è irritato parecchio scoprendo che un feto di 27 settimane, ahimé, bisogna tenerselo per forza. "Dopo siam stati tutti contenti, eh, tanto che adesso ci è venuto pure il terzo, anche stavolta così, non so come...". Durante le prime due gravidanze e i relativi allattamenti la signora ha continuato a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. "Mi dicevano attenta, potrebbero nascere sottopeso e avere problemi respiratori, ma io non ci ho mai creduto. Sono nati un po' magrini, ma è un fatto di costituzione, sono magra anch'io, vedi? Col cavolo che smetto". Ovviamente sta continuando a fumare anche adesso. L'anno scorso, alla festa di fine anno dell'asilo, teneva le sigarette nella carrozzina, accanto alla testa del secondogenito addormentato.
Quando siamo arrivate a destinazione avevo il voltastomaco. Ho aspettato che il soggetto in questione scendesse, ho inforcato gli occhiali da sole e finto di telefonare. Non avevo nessuna voglia di salutarla, e per fortuna non si è accorta di me. Ha attraversato radiosa il piazzale della stazione, con i suoi trendyssimi jeans skinny premaman e il trucco impeccabile. Io mi sono messa a pensare a M, sopravvissuta per miracolo a un intervento che le ha tolto la possibilità di diventare madre; a L, che ha dovuto affrontare un'operazione, un aborto e tre fivet per riuscire ad avere la sua bambina; a tante altre donne che ho conosciuto in questi anni, virtualmente o personalmente, e alle loro storie di ricerca, di dolore e di speranza. Ho pensato anche alla mia, di storia, e a come, alla fine, sono stata fortunata, perché Cricri si è fatta attendere a lungo, ma è arrivata da sola, come un fulmine a ciel sereno, quando stavamo per iniziare il percorso della PMA.
L'incontro con la madre inconsapevole e snaturata, come si diceva un tempo, ha tirato fuori il mio lato moralista, che cerco sempre di reprimere... Non bisogna giudicare, mi ripeto come un mantra... Non esiste una mano divina che assegna i figli alle madri "meritevoli"... E forse non esistono, a priori, madri "meritevoli"... Così dicevo a me stessa qualche anno fa, quando tentavo disperatamente di restare incinta, e così mi sono detta anche ieri, faticando un po'. Lasciamo pure queste madri "per caso" alla loro beata incoscienza. Oggi, però, voglio aggiungere: modifichiamo la legge 40 per offire qualche possibilità in più alle coppie che vogliono un figlio e spesso sono costrette a fuggire all'estero; semplifichiamo le pratiche di adozione, ormai paragonabili a una lunghissima corsa a ostacoli. Il 21 marzo di tre anni fa, in un giorno di sole e di vento, ho scoperto di aspettare mia figlia. Buon inizio primavera a tutte le donne che stanno inseguendo la propria realizzazione, con o senza maternità.

lunedì 12 marzo 2012

Nomen omen

Da quando vivo nella nebbiosa ma ridente provincia bassopadana ho scoperto un'usanza di cui, da cittadina un po' snob, ero totalmente all'oscuro: gli annunci mortuari. Non sto parlando dei classici necrologi pubblicati sui quotidiani, ma dei manifesti più o meno elaborati affissi per le strade, sui cartelloni pubblicitari, in tempo quasi reale: a poche ore dal trapasso della prozia novantacinquenne, li trovi già al loro posto, freschi di stampa, con tutte le indicazioni del caso (luogo del funerale, cimitero in cui verrà sepolto il caro estinto, non fiori ma opere di bene, ecc. ecc.). Mi dicono che siano ufficialmente illegali, ma non è questo il punto.
Sabato mattina, mentre facevo la spesa, ho saputo della dipartita di quattro anziani della comunità locale: Faustina, Vilde, Solidea e Vittorino. Come è facile immaginare, sono rimasta particolarmente impressionata dai nomi. Nomi che oggi non si usano più ed evocano tempi passati, tanto che, dopo una risata iniziale, leggendoli sono stata investita da un'onda di malinconia. Anche i miei quattro nonni avevano nomi bellissimi e improbabili (ho usato l'imperfetto, ma in realtà un nonno ce l'ho ancora: compirà cent'anni a settembre, se tutto va bene - seguirà post ad hoc). Il nome scelto per un figlio porta sempre con sé un carico, inutile negarlo. Un carico di tradizione, di ricordi o di speranze, che può rivelarsi un peso ma anche un retaggio prezioso. Senza dubbio i genitori di Vilde e Vittorino, novant'anni fa, avevano per loro aspettative diverse rispetto a quelle nutrite, oggi, dai genitori di Chanel, Oceano o Maicol-Chevin (gli appassionati del genere mi perdonino, ma qui nella Bassa la combinazione fra tipici cognomi locali - chessò, Barigazzi - e nomi stranieri deturpati sortisce effetti esilaranti). Sono sempre stata contenta del mio nome, anche se porta con sé una nota di tristezza perché fu scelto _anche_ per ricordare un'amica di famiglia scomparsa prematuramente. Adoro il nome di mia figlia, che io e Gunther abbiamo voluto, fondamentalmente, per tre motivi: 1) dolcezza del suono; 2) internazionalità (resta invariato in tutte le lingue) ; 3) omaggio a un personaggio letterario, anzi a due (ehm... qui c'è soprattutto il mio zampino, lo ammetto!). Spero che, crescendo, anche lei lo apprezzerà e lo sentirà "suo". Vederla diventare grande, aprirsi al mondo e staccarsi a poco a poco da me è una gioia immensa ma agrodolce, e in giornate come queste vorrei fermare il tempo per un istante, impedire alla sabbia di scorrere nella bussola, togliere la pila all'orologio. Sono così monotematica da sfiorare la pedanteria, lo so, ma ancora non ho trovato il modo per convivere serenamente con il mio agnosticismo accettando il trascorrere dei giorni e l'idea della vecchiaia e della fine. Ecco perché mi fermo sempre, come ipnotizzata, di fronte agli annunci mortuari, cercando di esorcizzare con un sorriso il nodo alla gola, di salutare Faustina, Vilde, Solidea e Vittorino nella speranza che stiano giocando allegramente a briscola da qualche parte, "tocciando" la ciambella nel vino. Sit eis terra levis!

giovedì 8 marzo 2012

Io sono figlio unico...

... pure di madre vedova/magari un po' nevrotica con me, cantava qualche anno fa Francesco Baccini. Quando frequentavo le elementari, nella mia classe i figli unici superavano di gran lunga i bambini con fratelli o sorelle. Ricordo che nessuno si stupiva della cosa: era del tutto normale. Praticamente tutte le nostre madri lavoravano, e molte di esse, proprio per questo, avevano deciso di limitarsi a un solo figlio. Se ne parlava con assoluta tranquillità. Scrivo tutto questo perché ho l'impressione che, da qualche tempo, stiamo assistendo a un'inversione di tendenza nell'immaginario collettivo: riprodursi ed esibire le proprie creaturine come status symbol è tornato di moda, anche tra i VIP, tanto che la scelta di non avere figli o di averne uno solo viene spesso stigmatizzata. Nei due lunghi anni in cui io e Gunther abbiamo cercato di avere un figlio (l'argomento meriterebbe un post a parte, che forse scriverò se e quando mi sentirò pronta), siamo stati subissati di osservazioni di ogni genere. In pochissimi erano al corrente della nostra difficile ricerca, e noi, di fronte alla fatidica, molesta domanda ("Non volete figli?"), cercavamo di sviare, depistare, se era il caso fulminare con lo sguardo. "Per ora stiamo bene così" era la nostra frase passepartout. Apriti cielo... I nostri interlocutori non potevano accettare cotanto ardire, e si sbizzarrivano in commenti eterogenei, da "i trentenni di oggi sono terribilmente egoisti" a "datevi una mossa, che la fertilità diminuisce drasticamente con gli anni" passando per "davvero non volete provare la gioia più grande della vita?".  Al di là delle fitte di dolore che mi provocavano queste risposte, non potevo sopportare il presupposto da cui partivano: l'idea che tutti _debbano_ volere dei figli perché la società, in qualche modo, lo impone. Pazzesco. Quando finalmente rimasi incinta, pensavamo di averla scampata, e invece... Più o meno al sesto mese di gravidanza, le stesse persone che mi avevano rivolto la simpatica domanda iniziarono a pormene un'altra, forse ancor più fastidiosa: "A quando il fratellino?". E noi, ingenuamente, a riproporre la stessa formuletta: "Per ora stiamo bene così". Elenco delle possibili reazioni: "Noooo... i figli unici crescono viziati, prepotenti e con disagi psicologici". "I figli unici si sentono soli e incolpano di questo i genitori". "Quando invecchi, è importante avere almeno due figli che possano accudirti". Arghhhh. Ora che Cricri ha superato i due anni, la domanda ricorre più o meno ogni giorno. Il fatto è che, sebbene da un punto di vista meramente "fisico" potremmo forse avere altri figli, è assai probabile che ciò non avverrà. Il mio Gunther lavora moltissimo, e fa spesso trasferte all'estero che mettono già così a dura prova l'equilibrio e la routine familiari. Io sono una moderna freelance (leggi "precaria") della cultura, che non ha diritto al congedo per maternità. Anche se lavoro prevalentemente da casa ho spesso scadenze urgenti da rispettare e non riesco davvero a immaginarmi con un altro figlio e un marito lontano circa dieci-quindici giorni al mese... Per questo siamo giunti alla sofferta decisione che, se qualcosa a breve non cambierà nel mestiere di Gunther, ci fermeremo a quota uno. In certi momenti mi sento serena, so che è la scelta più giusta per noi e per la piccola, mentre in altri mi accorgo, spaventata, che la forma mentis dei miei "inquisitori" si è impossessata di me e mi fa pensare che, forse, non sono "all'altezza". Che esistono mamme con mariti all'estero capaci di allevare tre o quattro pargoli (una su tutte, la mitica elastigirl, ma ci sono anche le mogli dei militari, tanto per fare un esempio...). Mamme che mi sembrano, banalmente, "più adeguate" di me. Più mamme. Qualche settimana fa ho incontrato, al consultorio, un'ostetrica che mi è stata di grande aiuto durante l'allattamento. Mi ha chiesto se avevo intenzione di avere altri figli, e le ho risposto in tutta sincerità. Lei, convinta in buona fede di aiutarmi, mi ha dato involontariamente una stilettata, dicendomi: "Mi sembra una decisione saggia. Perché complicarsi la vita? Esistono supermamme e mamme normali. Tu sei una mamma normale". Ecco, quel "normale" mi ha distrutta. Ci ho letto tutta la mia inadeguatezza, la mia incapacità. Ho subito immaginato mia figlia giocare da sola invocando un fratello o una sorella, accudire da sola due genitori ormai vecchi, incapaci di intendere e di volere... E via con le immagini strazianti, con la vocina interiore che mi sussurra "se solo tu facessi uno sforzo in più...". Poi la vocina tace, le visioni apocalittiche scompaiono, e ricomincio a guardare fuori dalla finestra, a gioire di questa primavera incipiente e a dirmi che forse, dopotutto, sono quella che Winnicott definirebbe "una madre sufficientemente buona",  e questo deve bastarmi.